Rosso colore di Pierangelo Bertoli: significato, storia e analisi di un inno alla giustizia sociale
Tra le tante canzoni che hanno segnato la carriera di Pierangelo Bertoli, Rosso colore occupa un posto speciale. È un brano che racchiude in sé l’essenza dell’universo del cantautore emiliano: denuncia sociale, emozione autentica e narrazione personale che si fa collettiva. A distanza di decenni, questa canzone continua a parlare con forza al nostro presente. Rosso colore fa la sua prima apparizione nel 1974, nel debutto discografico di Bertoli. L’album, che contiene dodici tracce, include anche tre pezzi già pubblicati come singoli: Per dirti t’amo, L’autobus e Marcia d’amore. Tutti i brani sono firmati dallo stesso Bertoli, che negli anni successivi rielaborerà alcune canzoni in collaborazione con musicisti come Marco Dieci e Alfonso Borghi. Nel 1977, il brano viene riproposto nell'album Il centro del fiume, ma in una versione rinnovata che fonde tre tracce precedenti: Rosso, Rosso colore e Rosso colore dell’amore. Questa sintesi dà vita a una composizione unica, intensa e armoniosa, mantenendo il titolo Rosso colore. La parte musicale è di Borghi, mentre il testo resta quello originale di Bertoli. In questa nuova versione, si può ascoltare anche una voce femminile che accompagna Bertoli in un emozionante duetto. Sebbene non sia accreditata ufficialmente, la cantante è Caterina Caselli, la cui presenza, discreta ma inconfondibile, aggiunge una profondità emotiva ulteriore a un brano già di per sé struggente.
Noi ci unimmo e poi scendemmo per le strade per lottare, per respingere l'attacco del padrone; arrivati da lontano, poliziotti e celerini caricarono le donne col bastone; respingemmo i loro attacchi con la forza popolare, ma, convinti da corrotti delegati, ci facemmo intrappolare da discorsi vuoti e falsi, e da quelli che eran stati comperati.
La struttura della canzone è quella di una lettera: un lavoratore emigrato scrive a un amico rimasto in Italia, raccontandogli le ragioni che lo hanno spinto ad abbandonare il suo paese. Le sue parole sono amare e lucide, raccontano di una fabbrica che ha chiuso, delle lotte operaie soffocate, dei sindacalisti corrotti. Ma non si tratta solo di una storia personale: è il ritratto di un’intera generazione di lavoratori sradicati, senza voce, dimenticati.
Il cuore del brano è una critica feroce e sofferta a un sistema economico ingiusto: da una parte il padrone, che ama solo il denaro, dall'altra il lavoratore, che crede in valori opposti solidarietà, comunità, dignità. Questa contrapposizione diventa una riflessione profonda su cosa significhi davvero giustizia sociale.
E mi viene da pensare che la lotta col padrone è una lotta tra l'amore e l'egoismo, è una lotta con il ricco, che non ama che i suoi soldi, ed il popolo che vuole l'altruismo; e non contan le parole che si possono inventare, se ti guardi intorno scopri il loro giuoco: con la bocca ti raccontano che vogliono il tuo bene, con le mani ti regalan ferro e fuoco.
Il rosso del titolo non è solo un colore: è simbolo. È l’amore, ma anche il sangue versato nelle lotte operaie. È la passione di chi non si arrende, la speranza di un riscatto. È il rosso delle bandiere socialiste, ma anche quello della nostalgia per la propria terra, per una vita più giusta.
Rosso colore è una ballata che unisce sentimento e denuncia. Parla di emigrazione forzata, precarietà lavorativa, repressione del dissenso, ma lo fa con una voce umana, vicina, autentica. La voce di chi ha vissuto sulla propria pelle certe ingiustizie.
Ancora oggi, ascoltare Rosso colore significa entrare in contatto con una realtà spesso ignorata. E questa è la forza del miglior cantautorato italiano degli anni Settanta: raccontare storie vere, con parole semplici ma potenti, capaci di attraversare il tempo. Pierangelo Bertoli, con la sua voce schietta e diretta, ha dato voce agli ultimi.
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