sabato, novembre 29, 2025

Per i morti di Reggio Emilia - Fausto Amodei



Per i morti di Reggio Emilia: significato, storia e analisi della canzone

La musica può fare riflettere, sognare,capire e ricordare.
Per i morti di Reggio Emilia fu scritta nel 1960 dal cantautore torinese Fausto Amodei dopo i drammatici scontri del 7 luglio a Reggio Emilia, durante le manifestazioni contro il governo Tambroni. La canzone nasce come denuncia e come atto di commemorazione: ricorda gli operai e i cittadini uccisi dalla polizia, sottolineando come quel sangue versato sia «sangue di tutti», un richiamo alla solidarietà e alla continuità della lotta partigiana e operaia contro ogni forma di oppressione. 
Nei primi anni successivi al 1960 la diffusione del brano rimase piuttosto limitata, anche all’interno della stessa sinistra. 
Sebbene fosse stato inserito in alcuni spettacoli e inciso in uno dei primi dischi dei Cantacronache, divenne un autentico “canto di lotta” soltanto con il movimento del ’68, che lo adottò e lo diffuse così ampiamente da farlo spesso circolare come brano «di autore anonimo». 
La canzone trasforma un episodio tragico in un luogo della memoria collettiva: attraverso parole e musica accoglie e custodisce nomi, persone ed eventi legati alla storia partigiana. 
Le lotte degli scioperanti si intrecciano idealmente con quelle dei partigiani, e il brano diventa un nucleo simbolico attorno al quale una comunità può riconoscersi, ricordare e ritrovare la propria identità storica.
Compagno cittadino, fratello partigiano teniamoci per mano in questi giorni tristi
Di nuovo a Reggio Emilia, di nuovo là in Sicilia son morti dei compagni per colpa dei fascisti
Il testo presenta richiami espliciti alla tradizione della Resistenza: dalla citazione di Fischia il vento alla chiusura che omaggia Bandiera rossa. Proprio come Fischia il vento, che riprendeva una melodia russa, anche Amodei cercò di dare alla sua composizione un’impronta “russa” sia nella melodia sia nell’armonia della strofa e del ritornello, riprendendo direttamente un passaggio da uno dei Quadri di un’esposizione di Modest Musorgskij.
La canzone richiama inoltre la vicenda dei fratelli Cervi, contadini della pianura padana e tra i primi a unirsi alla Resistenza. I sette fratelli, insieme al compagno Quarto Camurri, furono fucilati il 28 dicembre 1943 dai repubblichini al poligono di tiro di Reggio Emilia. La loro storia è divenuta uno dei simboli più noti della lotta partigiana.
Tra le figure ricordate compare infine Duccio Galimberti (Tancredi Achille Giuseppe Olimpio Galimberti), avvocato e partigiano cuneese, protagonista della Resistenza piemontese e tra gli organizzatori delle Brigate Giustizia e Libertà. Dopo la caduta di Mussolini partecipò attivamente all’antifascismo e fu arrestato dai nazifascisti nel novembre 1944. Torturato senza mai rivelare nomi o informazioni, morì poco dopo a causa delle ferite; il suo corpo fu poi abbandonato nei pressi di Centallo dopo una finta fucilazione, il 3 dicembre 1944. È ricordato come uno degli eroi della Resistenza ed è stato insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare.
La strage di Reggio Emilia ebbe luogo il 7 luglio 1960 durante una manifestazione sindacale nel centro della città. In quell’occasione le forze dell’ordine aprirono il fuoco contro civili inermi, uccidendo cinque operai iscritti al PCI: Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri e Afro Tondelli. Da allora sono ricordati come “i morti di Reggio Emilia”.
L’eccidio rappresentò il punto più alto di un periodo di forte tensione politica che interessò tutta l’Italia, segnato da numerosi scontri tra manifestanti e polizia. La crisi era stata innescata dalla formazione del governo Tambroni, un monocolore democristiano retto dal decisivo appoggio esterno del MSI, e dalla decisione di autorizzare lo svolgimento del congresso missino a Genova, città partigiana e medaglia d’oro della Resistenza. La scelta provocò indignazione diffusa e diede vita a una mobilitazione popolare di massa.
Il Presidente del Consiglio Fernando Tambroni aveva autorizzato l’uso delle armi in “situazioni di emergenza” e, nel corso di quelle settimane, in tutto il Paese si contarono undici morti e centinaia di feriti.
A Reggio Emilia, il 7 luglio, durante una manifestazione pacifica indetta dai sindacati, la polizia caricò con estrema violenza operai e cittadini, usando armi da fuoco. L’intervento, ordinato dal governo Tambroni, si trasformò rapidamente in un eccidio: furono esplosi 182 colpi di mitra, 14 di moschetto e 39 di pistola. Gli edifici delle due piazze coinvolte e molte vetrine vennero crivellati dai proiettili. Oltre ai cinque morti, si contarono 21 feriti da arma da fuoco, sedici dei quali ricoverati in ospedale; altri evitarono le cure per non essere identificati. Tra le forze dell’ordine si registrarono cinque contusi e vennero effettuati 23 arresti, con numerose denunce.
Le testimonianze dell’epoca descrivono quei minuti come un inferno di spari e urla: un commesso, presente con un magnetofono per registrare il comizio sindacale, catturò accidentalmente 35 minuti di documentazione sonora, fatta di colpi, grida e sirene.
La città reagì con enorme partecipazione. L’Amministrazione comunale organizzò le esequie pubbliche; la camera ardente fu allestita nell'atrio del Teatro Municipale, a pochi metri dal luogo della strage. Ai funerali civili, comuni per le cinque vittime, presero parte circa 150.000 persone, tra cui molte personalità politiche: Palmiro Togliatti, parlamentari di vari schieramenti e padri costituenti come Nilde Iotti e Ferruccio Parri.
Compagno Ovidio Franchi, compagno Afro Tondelli e voi Marino Serri, Reverberi e Farioli, dovremo tutti quanti aver d'ora in avanti voialtri al nostro fianco per non sentirci soli.
La repressione di quei giorni, culminata nel massacro di Reggio Emilia, segnò un momento decisivo della crisi politica nazionale e contribuì in modo determinante alla caduta del governo Tambroni. La memoria delle vittime rimane un simbolo delle lotte per la democrazia e i diritti dei lavoratori.
Nel 1964 si svolse a Milano il processo contro il vicequestore Cafari Panico e l’agente Celani. Il 14 luglio la Corte d’Assise, presieduta da Curatolo, assolse entrambi: Cafari Panico con formula piena perché “il fatto non sussiste”; Celani, riconosciuto da più testimoni come colui che aveva preso la mira e ucciso Afro Tondelli, fu assolto per insufficienza di prove.

Cinque persone rimasero uccise, sul posto o spirando poco dopo in ospedale:
Lauro Farioli (1938), operaio di 22 anni, orfano di padre, sposato e padre di un bambino;
Ovidio Franchi (1941), operaio di 19 anni, il più giovane dei caduti;
Marino Serri (1919), operaio[3] di 41 anni, ex-partigiano della 76ª SAP, sposato e padre di due bambini;
Afro Tondelli (1924), operaio di 36 anni, ex-partigiano della 76ª SAP, è il quinto di otto fratelli;
Emilio Reverberi (1921), operaio di 39 anni, ex-partigiano nella 144ª Brigata Garibaldi (commissario politico distaccamento "Amendola"), sposato, con due figli.


Nell’immediatezza dei fatti, il cantautore Fausto Amodei compose Per i morti di Reggio Emilia, interpretata negli anni da voci memorabili come Milva e Maria Carta. Una versione più recente è quella di Francesco Guccini, che ha scelto il brano come traccia d’apertura del suo album Canzoni da intorto (2022).
La rivolta di Reggio Emilia è ricordata anche nell’opera La Divina Mimesis di Pier Paolo Pasolini , che include due fotografie scattate casualmente durante gli scontri, una delle quali compare anche sulla copertina del libro. La strage del 7 luglio è citata inoltre in diversi lavori: il film Don Camillo monsignore... ma non troppo, il romanzo di Paolo Nori Noi la farem vendetta (2006), la canzone Bufera del gruppo Giardini di Mirò (2010) e Piccola Storia Ultras degli Offlaga Disco Pax (2012).
Quella di Fausto Amodei non è soltanto una canzone: è memoria viva, atto politico, documento civile e opera poetica. Considerato una delle voci storiche del cantautorato italiano e tra i più importanti autori della canzone politica, Amodei ha composto brani diventati veri e propri inni nelle manifestazioni della sinistra. A Torino fu tra i fondatori di Cantacronache  insieme a Michele Straniero, Giorgio De Maria, Margot, Emilio Jona e Sergio Liberovici  un collettivo che avviò una vera rivoluzione: la musica come strumento di denuncia sociale, veicolo di consapevolezza e linguaggio nuovo per raccontare la realtà.
Nato a Torino il 18 giugno 1934, Amodei iniziò giovanissimo a studiare fisarmonica, passando poi al pianoforte e infine alla chitarra. Diplomatosi al Liceo Alfieri e laureatosi in architettura al Politecnico di Torino, affiancò alla musica un forte impegno politico. Militò nel movimento Unità Popolare, fondato da Ferruccio Parri, e nel 1966 fu eletto deputato del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria.
Con Cantacronache si distaccò dagli standard musicali dell’epoca dominati da melodie leggere e testi sentimentali  affrontando temi politici e d’attualità. Nascono così brani come Il tarlo, feroce critica al capitalismo; La zolfara, cronaca di un incidente minerario portata al successo da Ornella Vanoni o Qualcosa da aspettare, poi riproposta da Enzo Jannacci .
Nel 1962, conclusa l’esperienza di Cantacronache, Amodei entrò nel Nuovo Canzoniere Italiano, accanto a figure come Gianni Bosio e Roberto Leydi. Contribuì a numerosi spettacoli insieme a Ivan Della Mea, Giovanna Marini, Paolo Pietrangeli e Gualtiero Bertelli. 
La marcia della pace, incisa da Maria Monti nell’album Le canzoni del no: un disco sequestrato per il carattere sovversivo del brano, scritto con il poeta Franco Fortini, soprattutto per il verso “E se la patria chiama, lasciatela chiamare”, interpretato come invito all’obiezione di coscienza.
Nel 1972 Amodei pubblicò Se non li conoscete, che comprendeva la satira politica Fanfaneide, La taylorizzazione, Perché una guerra, Proclama di Camillo Torres e Le disgrazie non vengono mai sole. Due anni dopo uscì L’ultima crociata, album incentrato  nella sua prima parte  sul referendum sul divorzio. Sarà la sua ultima incisione per oltre trent'anni.
Nel 1975 ricevette il Premio Tenco; l’anno successivo compose la cantata Il Partito, ispirata alle memorie della dirigente comunista Camilla Ravera. Nel 1983 collaborò con Raffaella De Vita per lo spettacolo antimilitarista Gli allegri macellai. Dopo un lungo silenzio discografico, nel 2005 tornò con l’album Per fortuna c’è il Cavaliere, una pungente satira antiberlusconiana, accompagnato dalla ripresa dell’attività concertistica. Il suo ultimo lavoro è del 2021: Fausto Amodei canta Georges Brassens.





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